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02 February, 2016 |
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Nel Circo per la famiglia e i bambini
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di Geppe Nicotra
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«Un vero soldato non combatte perché ha di fronte a sé qualcuno che odia. Combatte perché ha alle sue spalle qualcosa che ama»: questa frase di Chesterton che campeggiava su uno striscione rende bene il senso della manifestazione che ha avuto luogo sabato al Circo Massimo. E questo era anche lo spirito che ha animato quanti della nostra provincia, in tre pullman e in treno e in macchina, a spese proprie, con bambini grandi e piccoli, hanno fatto una levataccia per partecipare a quell’evento, con l’intento di dimostrare l’amore per la famiglia, quella in cui sono nati e quella in cui ora vivono. Perché di questo si trattava, della salvaguardia del matrimonio che fonda la famiglia come è riconosciuto dall’art. 29 della Costituzione e condiviso da 13 milioni 997 mila coppie con e senza figli (Censimento Istat 2011). “La legge Cirinnà è un primo passo, anche se timido. Il nostro punto di arrivo è il matrimonio”, ha detto, papale papale, sabato 23 a Torino Alessandro Battaglia, coordinatore del Torino Pride, nel corso della manifestazione #svegliatitalia. Un matrimonio che potrebbe (il condizionale è d’obbligo) interessare le 7.591 – dicasi 7.591 – coppie con o senza figli formate da persone dello stesso sesso, all’interno delle quali 529 figli (e non 100.000 come viene sbandierato in tutti i talk show), uno ogni 14 coppie, come certifica sempre l’Istat. Dunque, le coppie italiane risultano eterosessuali al 99,95 per cento, secondo il censimento del 2011. E, visto che ci viene detto che siamo il fanalino di coda, com’è la situazione in Europa? Nell’Unione Europea (28 Stati) solo 12 hanno legalizzato il cosiddetto ‘matrimonio omosessuale’ e 4 le ‘unioni civili’. Nel resto d’Europa troviamo soltanto la Norvegia per il ‘matrimonio omosessuale’ e la Svizzera per le ‘unioni civili’. E i diritti da riconoscere? Beh, è dal 2012 che in libreria si trova un libro dal titolo Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere. La presentazione recita: “Concepito come un manuale di sopravvivenza, il libro indica gli strumenti legalmente utilizzabili per realizzare, almeno in parte, i diritti di coppia: in che modo tutelarsi per restare insieme nel caso la vita conduca uno dei due in ospedale o in carcere, per conservare la casa, ottenere risarcimenti o congedi, stipulare convenzioni e assicurazioni, garantire che i figli non subiscano danni e discriminazioni. Per le coppie composte da persone dello stesso sesso, sono suggeriti soluzioni e rimedi che consentano il riconoscimento di importanti diritti”. Gli autori, poi, sono di tutto rispetto: Bruno de Filippis (giurista ed esperto di diritto di famiglia), Gian Mario Felicetti (autore di La famiglia fantasma, e membro del Direttivo dell’Associazione radicale “Certi Diritti”), Gabriella Friso (responsabile dell’Ufficio Diritti dell’associazione “Les Cultures” di Lecco, membro del gruppo IO Immigrazione e Omosessualità di Milano e del Direttivo dell’Associazione radicale “Certi Diritti”), e Filomena Gallo (avvocato e segretaria dell’associazione radicale “Luca Coscioni” per la libertà di ricerca scientifica). In effetti, il ddl Cirinnà a questo punta, come ha acutamente annotato Giorgio Carbone: estendere la disciplina del matrimonio alle unioni tra persone dello stesso sesso, trattando in modo identico situazioni diverse, così violando la procedura speciale di revisione della Costituzione, modificata per mezzo di una semplice legge ordinaria e alterando radicalmente il significato della parola matrimonio. Avrebbe luogo, così, una rivoluzione antropologica e civile, con l’abbandono dei presupposti pre-giuridici oggettivi che fondano il matrimonio, qualsiasi sia l’ordinamento giuridico: la dualità della differenza sessuale e la complementarietà. Ma, oltre a quello del matrimonio, un altro era l’argomento contestato al ddl Cirinnà, sintetizzato da un cartello: “La legge non cambia la realtà! Tutti nasciamo da mamma e papà”. Si tratta della stepchild adoption, ossia l’adozione del figliastro, istituto esistente in Italia dal 1983 e che il ddl Cirinnà vorrebbe esteso anche alle coppie omosessuali. E non si tratta, come verrebbe da pensare, di permettere ad una coppia gay di adottare un bambino abbandonato, ma di estendere a tale coppia la facoltà di adottare il figlio biologico del partner, ottenuto facendo ricorso alla maternità surrogata o utero in affitto, il cui mercato è valutato in circa 6 miliardi di dollari a livello internazionale. Questa pratica “abominevole”, così definita dall’onorevole Livia Turco, è stata giustificata da Umberto Veronesi, in un’intervista al settimanale Oggi, come "un’occasione per le donne non abbienti di migliorare il proprio tenore di vita"! Donne schiavizzate e usate come forni, neonati strappati dal seno di chi li ha partoriti e orfani fin dalla nascita, trattati come prodotti e “creati” in base a caratteristiche illustrate in appositi cataloghi. Eppure Monica Cirinnà, da delegata all’Ufficio Diritti degli animali (sindaco Veltroni), nel 2005 fece approvare un Regolamento comunale sulla tutela degli animali della città di Roma che, all’art. 8 comma 6, recitava: “È vietato separare i cuccioli di cani e gatti dalla madre prima dei 60 giorni di vita, se non per gravi motivazioni certificate da un medico veterinario”. Perché i “cittadini non umani” (come da lei definiti) sono trattati con più riguardo dei cittadini umani? «Non ereditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli»: queste parole di un saggio capo indiano erano presenti a quanti si sono recati al Circo Massimo, quale punta di un iceberg, rappresentando anche quanti sono rimasti a casa incollati a TV 2000 per seguire la diretta, gli anziani, i parenti simpatizzanti, quanti d’accordo con la causa ma che non se la sono sentita di sottoporsi a quella fatica ed anche il milione e 470 mila di famiglie povere. Che mondo intendiamo restituire ai nostri figli?
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09 January, 2016 |
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Famiglie scendano in piazza contro le unioni gay Non è per uno scontro ma per il bene comune
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La nuova Bussola quotidiana
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«Le manifestazioni in piazza sono un modo per dare voce a chi non ce l’ha e per mostrare che le famiglie sono una realtà concreta e viva, e voglono contare per il bene di tutta la società». A parlare è Luisa Santolini, “storico” presidente del Forum delle Associazioni familiari, che ha guidato dal 1994 al 2006, anno in cui è stata eletta alla Camera dei Deputati dove è stata per due legislature, fino al 2013. La sua è una risposta a chi vuole scoraggiare un nuovo Family Day che potrebbe tenersi sabato 30 gennaio, durante la discussione al Senato del ddl Cirinnà che legalizzerebbe le unioni omosessuali. Così si punta sulla presunta inutilità delle manifestazioni addirittura accusando di fallimento il primo Family Day del 2007, come ha fatto recentemente il neo presidente del Forum delle Famiglie Gigi De Palo (a cui comunque la Santolini augura «tutto il bene possibile»). Signora Santolini, scendere in piazza ha ancora senso? In fondo sono in molti a dare già per persa la battaglia contro il ddl Cirinnà e si prende il Family Day del 2007 come esempio di manifestazione che in fin dei conti è stata inutile. Inutile non direi proprio, fallimento men che meno. Cominciamo a dire che il 2007 è stata una grande intuizione, una mobilitazione di popolo come è avvenuto anche in Francia e Spagna, che ha avuto anzitutto il merito di dare voce a una realtà dimenticata dalla politica. Le famiglie hanno dimostrato, così come anche il 20 giugno scorso, di non essere passive e di capire molto bene qual è la posta in gioco. Ma anche dal punto di vista politico è stata un successo perché l’obiettivo era fermare una legge devastante come quella dei Di.Co., spinta dal governo Prodi, e la legge è stata fermata. Certo, questo non significa che la piazza sia l’unica modalità: si deve fare lobby in Parlamento, si scende in piazza, si fa elaborazione culturale, si scrivono documenti importanti, si è presenti sui media; insomma, ci sono tanti modi per tenere alta la voce della famiglia alla luce della Dottrina sociale della Chiesa e difendendo l’articolo 29 della Costituzione italiana, che riconosce la famiglia come società naturale. L’obiezione che viene fatta è che sì, i Di.Co. furono fermati, ma poi per promuovere le politiche familiari non si è fatto più niente. Anzitutto dobbiamo riconoscere che grazie all’azione del Forum delle Famiglie e al Family Day nel nostro Paese si è cominciato a parlare di famiglia, una parola che non si pronunciava neanche più in politica. Che poi le forze politiche non abbiano avuto la cultura o il coraggio di portare avanti le proposte che le famiglie presentavano è responsabilità loro. È vero che molte cose non sono state fatte, ma questo non è un argomento per dire che non si va in piazza, al contrario. dare voce a chi non ha voce è tra l'altro la mission del Forum delle Famiglie. Si dice che i tempi oggi siano cambiati… … Sì, ma in peggio. E questa è una ragione in più per lavorare su tutti i fronti. L’attacco alla famiglia è a livello planetario, sicuramente a livello europeo, è un attacco organizzato e portato in profondità. Quindi dobbiamo essere presenti in tutti i modi possibili, e la piazza è uno dei modi. Lo hanno fatto in Francia, fermando leggi perniciose, e anche in Italia bisogna dare la voce a queste famiglie. Poi ognuno si deve prendere le proprie responsabilità. Se le forze politiche ritengono di ignorare questo popolo, non mettere in agenda la famiglia, e perseguire gli interessi particolari di una minoranza a scapito del bene comune, ebbene porteranno il peso delle loro decisioni. Ma non crede che ci sia il rischio di un muro contro muro, come molti, anche ecclesiastici, paventano? Dipende da quello che si dice e si fa. Sia nel 2007 sia lo scorso 20 giugno abbiamo visto manifestazioni gioiose, allegre, famiglie intere che arrivano a Roma non per inveire contro qualcuno ma per affermare i propri valori e princìpi, famiglie che vogliono dire la loro. E dove la dicono? In piazza. Parliamo di famiglie vere, non manifestazioni come quelle con i pullman pagati come succede per i sindacati. Abbiamo visto tutte famiglie che pagano di persona per esserci, che mobilitano i loro figli, che fanno cose straordinarie, esclusivamente per difendere i propri figli e il proprio futuro. È un desiderio di esserci che non capisco perché debba essere ritenuta una cosa sbagliata. Questo non significa alzare i muri. Se uno si dichiara contro una legge contraria al bene comune, che sarà devastante per i prossimi anni, non significa che vuole lo scontro. Le manifestazioni servono per fare presente un problema, se poi il governo non ascolta ognuno si prende la sua responsabilità. Del resto sono sempre più convinta che davvero sono le famiglie che salveranno le famiglie: a scuola, in tv, sulle questioni del fisco, del lavoro e dei valori che sono fondativi e fondamentali. Se si perde di vista cosa è la famiglia non abbiamo più niente da insegnare ai nostri figli. Lei prima ha fatto cenno all’azione di lobby in Parlamento. Il nuovo presidente dice che il Forum delle famiglie non deve fare lobby. Ma se il Forum è nato apposta per questo motivo. Giovanni Paolo II sosteneva che la famiglia è un prisma attraverso cui devono passare tutte le politiche. Tutte. Ricordo che quando nel novembre 1993 abbiamo presentato – 23 associazioni familiari - il decalogo per la difesa della famiglia, organizzammo un seminario con le più belle teste pensanti in Italia sul fronte della famiglia. Lì erano presenti tutti gli aspetti: la tutela della vita, la difesa della famiglia, compresa la libertà di scelta educativa di cui peraltro non si parla più; poi il lavoro e tutto il resto. Ma la premessa è la difesa dell’articolo 29 della Costituzione, che riconosce la famiglia come società naturale, perché altrimenti si rischia di avere delle politiche familiari ma senza più la famiglia, come è accaduto nel Nord Europa. L’Italia è forse l’unica nazione che ancora resiste perché c’è un tessuto di famiglie che si rende conto di essere la vera risorsa di questo paese. È una ricchezza da difendere. Peraltro su questo punto i documenti della Chiesa sono chiarissimi. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno spinto molto in questo senso e anche papa Francesco ha detto con chiarezza che i laici si devono muovere, è loro la responsabilità nella società e davanti ai loro figli. Quindi bisogna agire su tutti i fronti. In effetti durante la sua presidenza c’è stato un grande lavoro di dialogo con le forze politiche. A parte l’aver fermato i Di.Co. ci sono altri risultati che la vostra azione ha ottenuto? Intanto potrei dire che quando ero io in Parlamento abbiamo fermato anche la legge sull’omofobia, che avrebbe colpito la libertà di pensiero e di espressione, perfino il semplice sostegno alla famiglia naturale sarebbe stato perseguito. Ma guardando indietro ricordo che dal Forum sono nate anche la legge sull’adozione e quella sull’affido condiviso. Al proposito voglio sottolineare che la nostra azione di lobby è sempre stata trasversale, abbiamo lavorato con esponenti di tutti i partiti, perché non c’è nulla di ideologico nel promuovere i valori della famiglia. Anche a livello locale è stato così. Come a Parma ad esempio, diventata un modello e premiata come città della famiglia. Lì, grazie al sindaco Urbani e alla responsabile dell’Agenzia per la Famiglia, Cecilia Greci, abbiamo creato pacchetti per la famiglia con diverse facilitazioni. Abbiamo fatto cose straordinarie: tariffe commisurate al numero dei figli, politica della casa, iniziative scolastiche, di welfare con famiglie che aiutavano altre famiglie. Purtroppo è bastato che fosse eletto un sindaco 5 Stelle e in tre mesi è stato smantellato tutto. Quello che non si accetta è che la famiglia abbia dei diritti e dei riconoscimenti in quanto famiglia. Le implicazioni educative di questa negazione sono tremende, perché stiamo dicendo ai nostri figli che tutto è indifferente, tutto uguale. Però il quoziente familiare non l’avete ottenuto. In realtà il Forum delle famiglie non ha mai sostenuto il quoziente familiare, ma una proposta fiscale più articolata e molto ben studiata, che poi è stata chiamata “Fattore famiglia”, vantaggiosa sia per le famiglie sia per lo Stato. Era un progetto di legge che quando sono entrata in Parlamento ho fatto mio, ma non è mai stata presa in considerazione. Non c’è dubbio che la politica sia sorda a queste istanze. Non è colpa del Forum o di errori fatti, semplicemente le forze anti-famiglia in Parlamento hanno una presenza massiccia. Così ho trovato un muro totale e neanche il mio partito (UDC) mi ha aiutato: nessuno vuole mettere in crisi un governo su questo punto. Non è mai caduto un governo per questioni legate alle politiche familiari e lo stiamo vedendo anche in questi giorni. Per questo è ancora più importante che ci sia una mobilitazione delle famiglie, per dire a tutti che le famiglie ci sono e vogliono contare, a favore di una corretta visione della società. Negli ultimi anni l’azione del Forum sembra essere diventata farraginosa, un po’ in ritirata. Anche nella manifestazione del 20 giugno il Forum è rimasto in ufficio mentre le famiglie affluivano in Piazza San Giovanni e malgrado l’urgenza posta dal ddl Cirinnà sembra che si voglia parlare d’altro. Probabilmente non giova una dipendenza troppo stretta dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Da quando sono uscita nel 2006 per correttezza mi sono fatta da parte e non ho più seguito direttamente le vicende del Forum, quindi non so proprio dire come stiano le cose oggi. Posso solo dire che noi all’inizio avevamo assoluta autonomia nei confronti della CEI, nei 12 anni di presidenza mai avuta una direttiva, mai sono andata a chiedere indicazioni su quel che avremmo dovuto fare. A prendere le decisioni, a decidere cosa dire e cosa fare eravamo solo noi: il nostro consiglio direttivo si riuniva spessissimo, avevamo bisogno di confrontarci, ed eravamo un gruppo granitico, compatto. Avevamo anche il nostro comitato scientifico, con i più brillanti esperti di politiche familiari: Marco Martini, Pierpaolo Donati, Eugenia Scabini, Giancarlo Blangiardo, Stefano Zamagni e altri. Un’enorme ricchezza di cervelli, con cui elaboravamo proposte, politiche, incontri. Mai un intervento di vescovi. Riccardo Cascioli
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24 December, 2015 |
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Grande partecipazione allincontro dell’iniziatore del Cammino Neocatecumenale a Pretoria
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Provenienti da tutta l'Africa, alcuni sono rimasti 3 giorni in bus, altri hanno venduto terreni per il viaggio. 40 famiglie disposte ad evangelizzare il mondo Venivano dalla Namibia, dallo Zambia, da Angola e dal Madagascar, da Seychelles e Mozambico. Hanno organizzato collette o addirittura hanno venduto oggetti personali e terreni per pagarsi il viaggio che altrimenti non avrebbero potuto permettersi. Alcuni hanno persino viaggiato per tre giorni in autobus; quasi tutti si sono attrezzati a rimanere lì anche nel fango viste le forti piogge che hanno colpito il paese nei giorni precedenti. Hanno fatto di tutto, insomma, i giovani neocatecumenali dell’Africa pur di ritrovarsi nella Heartfelt Arena di Pretoria e ascoltare un annuncio di salvezza e di speranza, in questo periodo in cui gran parte dei loro territori sono tormentati da continue violenze. L’occasione è stato l’incontro vocazionale dello scorso 6 dicembre di Kiko Argüello, iniziatore del Cammino Neocatecumenale. Il terzo in Africa, il primo in assoluto in Sudafrica. Il tour ha toccato anche Rwanda e Costa d'Avorio. Un incontro fortemente voluto dalle comunità di questi paesi, che difficilmente avrebbero mai potuto partecipare ad altri incontri vocazionali o eventi ecclesiali come le Giornate mondiali della Gioventù. Per questo hanno insistito e fatto in modo di esserci; già lo stesso Kiko ce lo aveva preannunciato nell’intervista dello scorso 6 maggio. “Quando vieni in Africa?” gli domandavano. “Sono persone povere, umili, molto attratte dalle parole di Cristo: ‘Vieni e seguimi!’”, raccontava Kiko, persone che “aspettano di vivere personalmente un incontro dove qualcuno gli dica: ‘Ci sono famiglie per la missione?’, per alzarsi e partire”. Detto fatto. Sulla scia dello straordinario viaggio apostolico di Papa Francesco di fine novembre, anche Argüello si è imbarcato alla volta del Continente nero, “dopo aver fatto tutti i vaccini”, come ha scherzato all’inizio dell’incontro. Oltre 2500 i ragazzi, le ragazze, le famiglie che lo hanno raggiunto per ascoltare la catechesi sul kerygma che questo ex pittore spagnolo proclama instancabilmente da oltre 40 anni in giro per il mondo. Sul grande palco allestito nell'area sportiva, dove troneggiava un enorme dipinto di Cristo crocifisso, al suo fianco c’erano mons. William Slattery, arcivescovo di Pretoria, e Stephen Brislin, arcivescovo di Cape Town e presidente della Conferenza episcopale del Sud Africa, insieme ad una decina di altri presuli che hanno benedetto l'incontro con la loro presenza. "Siamo onorati di ospitare questo evento nella nostra nazione e Arcidiocesi", ha esordito nel suo saluto mons. Slattery, "il Cammino Neocatecumenale ha toccato la vita di milioni di persone e ha riportato la Chiesa in vita in molte città e paesi". “Forse il più grande impatto il Cammino Neocatecumenale lo ha avuto sui laici”, ha proseguito, “intere famiglie, migliaia di loro, hanno lasciato le loro case per lavorare nella missione in tutto il mondo conducendo le persone alla conversione”. Pertanto, ha concluso l’arcivescovo, “caro Kiko e caro Padre Mario (Pezzi, il terzo catechista insieme a Carmen Hernandez dell’equipe internazionale del Cammino Neocatecumenale ndr), il vostro passaggio in Sudafrica è una nuova Pentecoste per tutti noi”. È stata poi la volta di Kiko che agli oltre 2000 partecipanti ha annunciato “la Buona notizia… il kerygma… l'annuncio del Vangelo… l’annuncio, cioè, di qualcosa che sta accadendo ora, in questo momento preciso Cristo sta mostrando le sue ferite al Padre, intercedendo per tutti noi!”. Parole che hanno confortato i numerosi giovani seduti a terra o sui piccoli sgabellini portati da casa, quotidianamente in lotta contro problemi di povertà, tribalismo, arruolamento, paura di questa piaga del terrorismo jihadista che sembra non avere freni. Molti ascoltavano le parole di Argüello tra le lacrime; un fotogramma che contrastava con i tipici coloratissimi abiti indossati o con le esplosioni di gioia espresse poco prima attraverso il canto e la danza. Presente in ogni angolo del globo, l’itinerario neocatecumenale ha messo radice in Sud Africa dal 1986. Itinerante responsabile è Dino Furgione, romano, marito di Roberta e padre di otto figli, che - incontrato da ZENIT - si dice “sopraffatto di gioia per l'esito di questo incontro”. “Vedere Kiko alla sua età vivere ancora la vita di un predicatore itinerante…. - spiega - Lui sta girando tutto il mondo invitando alla conversione e fare chiamate vocazionali. Ha scelto di partire per l’Africa e venire perciò in Sudafrica ispirato da Dio, perché lui riconosce che questo è un momento favorevole per la Chiesa Africana”. "La parte più importante di questo evento è stata la risposta della gente", ha aggiunto Furgione. "Verso la fine della serata Kiko ha fatto le chiamate vocazionali, chiedendo ai presenti che hanno sentito una chiamata a venire sul palco per una benedizione. Siamo rimasti colpiti nel vedere 23 ragazzi che sentivano la vocazione al sacerdozio e 13 ragazze per la vita consacrata, ma ancora più colpiti di assistere al miracolo di 40 famiglie, arrivando sul palco insieme a tutti i loro figli, sentendo la chiamata ad essere famiglie missionarie e lasciare tutto per annunciare il Vangelo”. L’itinerante non ha dubbi: “Questo può essere solo opera dello Spirito Santo. " .
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