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19 December, 2014

Francesco spegne le candeline e parla della Famiglia di Nazaret
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Accolto dagli "Auguri" dei fedeli in varie lingue, il Papa dedica la catechesi del giorno del suo 78° compleanno alla "normalità" della famiglia di Nazareth, modello per ogni famiglia di oggi

CITTA' DEL VATICANO, 17 Dicembre 2014 (Zenit.org) - Erano circa 13mila i fedeli accorsi oggi per l’Udienza generale del mercoledì, l’ultima del 2014 che per una felice coincidenza si è svolta nel giorno del 78° compleanno di Papa Francesco. Un’atmosfera di vera gioia permeava infatti piazza San Pietro, complice anche un clima insolitamente sereno dopo le piogge dei giorni scorsi.
I pellegrini riuniti nell’abbraccio del colonnato – tra cui i numerosi tangueros venuti per il flashmob dedicato alla milonga argentina, passione di Bergoglio - all'arrivo del Papa hanno augurato un “Buon Compleanno!” in diverse lingue. E un gruppo di seminaristi argentini, con i quali Francesco si è soffermato per pochi minuti, ha offerto addirittura una torta al Pontefice, il quale ha spento le candeline e sorseggiato del mate, tipica bevanda argentina.
Una bella accoglienza per il Santo Padre in questo giorno speciale. Lui, tuttavia, ha preferito mantenere un tono più misurato nella sua catechesi, affrontando un argomento “normale”. Ovvero la “normalità” della Famiglia di Nazareth, la quale, con la sua semplicità, – ha detto - “ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”.
E proprio su questo tema Francesco vuole che si concentri l’attenzione di tutto il Popolo di Dio in questo anno a venire, in cui la Chiesa si prepara ad un nuovo Sinodo dei Vescovi. “Ho deciso di riflettere con voi, in questo anno, proprio sulla famiglia – ha annunciato infatti il Pontefice - su questo grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio, quando conferì ad Adamo ed Eva la missione di moltiplicarsi e di riempire la terra. Quel dono che Gesù ha confermato e sigillato nel suo Vangelo”.
L’incarnazione del Figlio di Dio apre infatti “un nuovo inizio nella storia universale dell’uomo e della donna”, ha sottolineato Francesco. E ciò “accade in seno ad una famiglia”: “Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire … come un guerriero, un imperatore … No, no: viene come un figlio … in una famiglia. Questo è importante; guardare nel presepio questa scena tanto bella”.
Ed è bello anche sapere che Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, “che Lui stesso ha formato”. Formata, tra l’altro, “in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano”, non a Roma, la città capo dell’Impero, né in una grande città, “ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata”, di cui spesso si parlava male. Eppure proprio da lì “è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini!”.
Una storia durata trent’anni, durante i quali di fatto non accadde nulla, ha ricordato Papa Francesco: “Non si parla di miracoli o guarigioni, non ne ha fatta nessuna in quel tempo; non si parla di predicazioni, di folle che accorrono; a Nazaret tutto sembra accadere ‘normalmente’, secondo le consuetudini di una pia e operosa famiglia israelita”.
Gesù, in quella periferia, ci è rimasto per anni e anni, “sottomesso” – come dice l’evangelista Luca – ai suoi genitori: Maria, che - ha aggiunto a braccio il Santo Padre - “lavorava, cucinava, faceva le cose della casa, stirava le camice … tutte le cose da mamma”, e Giuseppe, il papà falegname, che “lavorava, insegnava al figlio a lavorare”.
Tutto nella normalità. Tanto che uno potrebbe obiettare: “Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata? Ha perso trent’anni… Che spreco Padre!”.
Ma è stato Dio stesso a volere questo, ha ribattuto il Pontefice: “Il cammino di Gesù era in quella famiglia”, e, si sa, “i cammini di Dio sono misteriosi”. La cosa più importante era proprio che il Figlio di Dio incarnato stesse in quella famiglia.
“E quello non era uno spreco, eh!”, ha rimarcato Bergoglio, “erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto…”. Loro sono l’esempio per tutti i genitori di oggi. Nonostante i Vangeli, “nella loro sobrietà”, non riferiscono nulla sull’adolescenza di Gesù, lasciando questo compito “alla nostra affettuosa meditazione” - ha osservato il Papa - di certo, “non ci è difficile immaginare quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel Figlio!”. E anche “quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere il bambino e la sposa – la sua famiglia – nei passaggi difficili!”.
Gli stessi ragazzi, poi, “potrebbero essere incoraggiati da Gesù adolescente a comprendere la necessità e la bellezza di coltivare la loro vocazione più profonda, e di sognare in grande!”. In quei trent’anni, Cristo “ha coltivato la sua vocazione per la quale il Padre lo ha inviato… Mai in quel tempo si è scoraggiato, ma è cresciuto con coraggio per andare avanti con la sua missione”. Sempre accolto e accudito dal suo padre terreno e da una madre che “custodiva tutto nel suo cuore”.
Allora sull’esempio di questa umile coppia di Nazaret, “ciascuna famiglia cristiana può accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo”. “Facciamo spazio nel nostro cuore e nelle nostre giornate al Signore”, ha esortato il Pontefice, anche se questo non sempre è facile. Persino per gli stessi Maria e Giuseppe non fu un percorso senza ostacoli: “Quante difficoltà dovettero superare! Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale”.
Per questo, si può dire che “la famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”. Come accadde in quei trent’anni a Nazaret, infatti, “così può accadere anche per noi”, ha assicurato Francesco; cioè “far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia”. Non a caso la parola “Nazaret” significa “Colei che custodisce”, perché “ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo”.
Quindi la grande missione della famiglia – ha concluso a braccio il Santo Padre – “è fare posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni…”. “Gesù è lì”, ha aggiunto, “accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente lì quella famiglia. Che il Signore ci dia questa grazia in questi ultimi giorni prima del Natale”.

CITTA' DEL VATICANO, 17 Dicembre 2014 (Zenit.org) - Erano circa 13mila i fedeli accorsi oggi per l’Udienza generale del mercoledì, l’ultima del 2014 che per una felice coincidenza si è svolta nel giorno del 78° compleanno di Papa Francesco. Un’atmosfera di vera gioia permeava infatti piazza San Pietro, complice anche un clima insolitamente sereno dopo le piogge dei giorni scorsi.
I pellegrini riuniti nell’abbraccio del colonnato – tra cui i numerosi tangueros venuti per il flashmob dedicato alla milonga argentina, passione di Bergoglio - all'arrivo del Papa hanno augurato un “Buon Compleanno!” in diverse lingue. E un gruppo di seminaristi argentini, con i quali Francesco si è soffermato per pochi minuti, ha offerto addirittura una torta al Pontefice, il quale ha spento le candeline e sorseggiato del mate, tipica bevanda argentina.
Una bella accoglienza per il Santo Padre in questo giorno speciale. Lui, tuttavia, ha preferito mantenere un tono più misurato nella sua catechesi, affrontando un argomento “normale”. Ovvero la “normalità” della Famiglia di Nazareth, la quale, con la sua semplicità, – ha detto - “ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”.
E proprio su questo tema Francesco vuole che si concentri l’attenzione di tutto il Popolo di Dio in questo anno a venire, in cui la Chiesa si prepara ad un nuovo Sinodo dei Vescovi. “Ho deciso di riflettere con voi, in questo anno, proprio sulla famiglia – ha annunciato infatti il Pontefice - su questo grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio, quando conferì ad Adamo ed Eva la missione di moltiplicarsi e di riempire la terra. Quel dono che Gesù ha confermato e sigillato nel suo Vangelo”.
L’incarnazione del Figlio di Dio apre infatti “un nuovo inizio nella storia universale dell’uomo e della donna”, ha sottolineato Francesco. E ciò “accade in seno ad una famiglia”: “Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire … come un guerriero, un imperatore … No, no: viene come un figlio … in una famiglia. Questo è importante; guardare nel presepio questa scena tanto bella”.
Ed è bello anche sapere che Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, “che Lui stesso ha formato”. Formata, tra l’altro, “in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano”, non a Roma, la città capo dell’Impero, né in una grande città, “ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata”, di cui spesso si parlava male. Eppure proprio da lì “è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini!”.
Una storia durata trent’anni, durante i quali di fatto non accadde nulla, ha ricordato Papa Francesco: “Non si parla di miracoli o guarigioni, non ne ha fatta nessuna in quel tempo; non si parla di predicazioni, di folle che accorrono; a Nazaret tutto sembra accadere ‘normalmente’, secondo le consuetudini di una pia e operosa famiglia israelita”.
Gesù, in quella periferia, ci è rimasto per anni e anni, “sottomesso” – come dice l’evangelista Luca – ai suoi genitori: Maria, che - ha aggiunto a braccio il Santo Padre - “lavorava, cucinava, faceva le cose della casa, stirava le camice … tutte le cose da mamma”, e Giuseppe, il papà falegname, che “lavorava, insegnava al figlio a lavorare”.
Tutto nella normalità. Tanto che uno potrebbe obiettare: “Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata? Ha perso trent’anni… Che spreco Padre!”.
Ma è stato Dio stesso a volere questo, ha ribattuto il Pontefice: “Il cammino di Gesù era in quella famiglia”, e, si sa, “i cammini di Dio sono misteriosi”. La cosa più importante era proprio che il Figlio di Dio incarnato stesse in quella famiglia.
“E quello non era uno spreco, eh!”, ha rimarcato Bergoglio, “erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto…”. Loro sono l’esempio per tutti i genitori di oggi. Nonostante i Vangeli, “nella loro sobrietà”, non riferiscono nulla sull’adolescenza di Gesù, lasciando questo compito “alla nostra affettuosa meditazione” - ha osservato il Papa - di certo, “non ci è difficile immaginare quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel Figlio!”. E anche “quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere il bambino e la sposa – la sua famiglia – nei passaggi difficili!”.
Gli stessi ragazzi, poi, “potrebbero essere incoraggiati da Gesù adolescente a comprendere la necessità e la bellezza di coltivare la loro vocazione più profonda, e di sognare in grande!”. In quei trent’anni, Cristo “ha coltivato la sua vocazione per la quale il Padre lo ha inviato… Mai in quel tempo si è scoraggiato, ma è cresciuto con coraggio per andare avanti con la sua missione”. Sempre accolto e accudito dal suo padre terreno e da una madre che “custodiva tutto nel suo cuore”.
Allora sull’esempio di questa umile coppia di Nazaret, “ciascuna famiglia cristiana può accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo”. “Facciamo spazio nel nostro cuore e nelle nostre giornate al Signore”, ha esortato il Pontefice, anche se questo non sempre è facile. Persino per gli stessi Maria e Giuseppe non fu un percorso senza ostacoli: “Quante difficoltà dovettero superare! Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale”.
Per questo, si può dire che “la famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”. Come accadde in quei trent’anni a Nazaret, infatti, “così può accadere anche per noi”, ha assicurato Francesco; cioè “far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia”. Non a caso la parola “Nazaret” significa “Colei che custodisce”, perché “ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo”.
Quindi la grande missione della famiglia – ha concluso a braccio il Santo Padre – “è fare posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni…”. “Gesù è lì”, ha aggiunto, “accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente lì quella famiglia. Che il Signore ci dia questa grazia in questi ultimi giorni prima del Natale”.



18 December, 2014

La verità sui Dieci Comandamenti (e sulla Chiesa)
di - da giulianoguzzo.com


Il seguitissimo show di Roberto Benigni andato in onda in questi giorni su Rai 1 è stata l’occasione, per milioni di Italiani, per tornare a riflettere sui Dieci Comandamenti e questo rappresenta senza dubbio un elemento apprezzabile, tanto più in una fase storica in cui la religione tende ad essere relegata all’ambito individuale smarrendo la propria costitutiva dimensione pubblica. Al mattatore toscano va inoltre riconosciuto il merito d’aver restituito attualità e freschezza a dettami che diversamente, agli occhi di parecchi, avrebbero mantenuto un’aura cupa e punitiva; con passione e poesia Benigni ha saputo invece condurre il pubblico verso una riscoperta della quale – se si è onesti, ed al di là di considerazioni sui comunque astrali e discutibili compensi del protagonista de “La vita è bella“- non si può che rallegrarsi, specie alla luce dei contenuti incommentabili sovente proposti sul piccolo schermo.
Detto questo e senza misconoscere la bellezza dello spettacolo di Benigni, anzi cogliendo proprio spunto dallo stesso, vi sono tuttavia alcune imprecisioni sulle quali – per amore di verità – non si può sorvolare. La prima riguarda il fatto che in nome di Dio si sarebbero commesse atrocità: vero, purtroppo. Ma generalizzare o esagerare, in tutti i casi incluso questo, sarebbe sbagliato. Infatti non solo è nel Novecento, secolo che certo non ha brillato per devozione religiosa, che si sono verificati i crimini più feroci di sempre, ma in seguito ad un accurato esame di quasi 1.800 conflitti si è appurato come meno del 7% di questi, in realtà, sia stato originato da motivi religiosi (Encyclopedia of Wars, 2004). Per quanta ostilità si possa avere verso la religione, le cause delle peggiori crudeltà vanno dunque ricercate altrove.
Non convince neppure l’idea – proposta da Benigni – secondo cui alla luce dei Comandamenti, in particolare del Terzo, si evincerebbe una sostanziale parità fra gli uomini e gli animali. Del resto, senza scomodare Gesù il quale chiaramente spiegava che l’uomo vale «più di molti passeri» (Mt 10,31), è Dio stesso, nell’Antico Testamento, non solo a permettere bensì a prescrivere sacrifici animali o perfino ad effettuarli, come quando Adamo ed Eva peccarono e fu il Signore stesso a consegnare «all’uomo e alla donna tuniche di pelli» (Gen 3,21), mentre del contrario – abiti in pelle umana destinati ad animali – non si ha notizia, a suffragio della supremazia umana sul mondo animale. Com’è allora possibile far dire al Decalogo una cosa in antitesi con la Bibbia? Mistero o, più semplicemente, libera espressione della creatività artistica.
L’errore più grave dell’attore toscano nel corso del suo show, però, è stato accusare la Chiesa d’aver inasprito Comandamenti; come se il Cristianesimo avesse avvelenato il messaggio biblico, in particolare per quanto concerne il Sesto Comandamento che la Chiesa – a sentire Benigni – avrebbe furbescamente manomesso sostituendo il divieto di adulterio con quello di commettere atti impuri e trasformando una regola accettabile in una prescrizione folle. Ora, a parte che l’esaltazione della verginità non è farina del sacco di qualche papa o cardinale bigotto ma viene da Gesù stesso (Mt 19,10-12), è curioso che si sia parlato del divieto di adulterio quasi come di poca cosa, considerando che siffatta condotta, anticamente, era punita con la morte (Dt 22,22-24; Lev 20,10), tanto che ci vorrà Gesù, com’è noto, per salvare un’adultera dalla lapidazione (Gv 8,3-11).
L’idea che la Chiesa sia sessuofoba, inoltre, oltre a non essere originalissima risulta pure infondata. Sessuofoba è, semmai, la cultura contemporanea che da un lato, con una ricorrente apologia della contraccezione, depotenzia l’atto sessuale sterilizzandolo, e dall’altro addirittura predica – attraverso l’ideologia gender – l’inesistenza dell’identità sessuale al di fuori di influenze culturali. E’ dunque il pensiero dominante a non comprendere o addirittura ad ostacolare la sessualità rispetto anche alle conseguenze, sul piano procreativo, che le sono connaturate, non certamente la Chiesa. E’ bene ribadirlo non già per avversare Benigni, il quale su questo non ha fatto che riscaldare la minestra del pregiudizio, ma per evitare che molti seguitino a farsi un’idea fuorviante del Cristianesimo.
L’ultima doverosa puntualizzazione sui Dieci Comandamenti riguarda un aspetto che il comico toscano – che non deve essere demonizzato, ma neppure scambiato per un illuminato teologo – non ha toccato pur essendo fondamentale. Si tratta, molto semplicemente, dell’esistenza di Dio. Perché riflettere su questo? Perché se davvero Dio non esistesse, per quanto i Dieci Comandamenti possano attrarci, altro non rimarrebbero che letteratura: né più e né meno di quella di fantascienza. Non solo: se Dio non c’è nessuna regola, ancorché solennemente scolpita nelle Costituzioni, avrà autentico fondamento, come segnalato anche dal giurista tedesco Böckenförde, il quale ha denunciato come lo stato laico e secolarizzato si nutra di premesse normative che, da solo, non può garantire (Staat, Gesellschaft, Freiheit, 1976).
A tale proposito, con linguaggio forse ancora più incisivo e netto Dostoevskij (1821-1881) faceva dire al suo Ivan Karamazov che «se Dio non esiste, tutto è permesso». Ed è proprio così dal momento che solo l’inevitabilità del giudizio divino – unitamente ad una retta ed equilibrata comprensione del bene – può incoraggiarci ad onorare fino in fondo padre e madre, a non uccidere e a non rubare. L’idea umana di giustizia necessita, pena un fondamento evanescente e solo formale, di ancorarsi a quella divina: il che comporta ovviamente non poche difficoltà, ma rimane imprescindibile. Viceversa, se avessimo la pretesa di fondare i Dieci Comandamenti sulla loro mera forza persuasiva, e dunque di crederli veri perché convincenti, vi sarebbe sempre la possibilità, da parte di qualunque scettico, di opporre legittimamente ad ogni divieto e prescrizione la stessa, micidiale domanda: chi l’ha detto?

22 November, 2014

Incontro Mondiale delle Famiglie: si aprono le iscrizioni
di -


L'arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput ha annunciato i temi che saranno trattati durante il congresso, che coinvolgerà anche altre chiese e religioni

ROMA, 13 Novembre 2014 (Zenit.org) - Sono formalmente aperte da lunedì scorso le iscrizioni all’Incontro Mondiale delle Famiglie, in programma a Philadelphia dal 22 al 27 settembre 2015.
Lo ha annunciato l’arcivescovo di Philadelphia, monsignor Charles Chaput, ricordando che l’Incontro “tratterà un’ampia gamma di temi sulla famiglia dove la nostra fede è sia necessaria che messa alla prova”.
Secondo quanto annunciato da Chaput, si parlerà di temi che coinvolgono le famiglie “non solo americane ma di tutto il mondo”, pertanto l’attenzione dell’Incontro Mondiale sarà focalizzata “non solo sulle nevralgiche questioni sessuali che sembrano dominare i media americani” ma anche su argomenti come “la famiglia e la povertà, la famiglia e la tossicodipendenza, la famiglia e i figli con disabilità”.
Ampia attenzione sarà riservata anche a temi come gli effetti del divorzio e della co-genitorialità, l’intimità tra marito e moglie, le sfide nell’educazione dei figli, il ruolo dei nonni, la parrocchia come sostegno per le famiglie.
L’intenzione dell’arcidiocesi di Philadelphia è quella di coinvolgere nel dibattito “l’intera comunità”, ovvero “gli ebrei, i mormoni, i musulmani e i protestanti”, senza riguardo per le “divisioni confessionali”.
Quanto alla presenza di papa Francesco, monsignor Chaput ha precisato che non è ancora ufficialmente confermata ma ci sono “segnali positivi” in merito alla sua partecipazione.
L’Incontro Mondiale delle Famiglie dovrebbe portare a Philadelphia almeno 10-15mila delegati da più di 150 nazioni al Congresso degli adulti, che contestualmente agli altri eventi, permetterà ai partecipanti di condividere il loro pensiero, oltre ai momenti preghiera previsti. Tema del congresso sarà Love is our mission: the family fully alive (L’amore è la nostra missione: la famiglia pienamente viva).





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