Accolto dagli "Auguri" dei fedeli in varie lingue, il Papa dedica la catechesi del giorno del suo 78° compleanno alla "normalità" della famiglia di Nazareth, modello per ogni famiglia di oggi
CITTA' DEL VATICANO, 17 Dicembre 2014 (Zenit.org) - Erano circa 13mila i fedeli accorsi oggi per l’Udienza generale del mercoledì, l’ultima del 2014 che per una felice coincidenza si è svolta nel giorno del 78° compleanno di Papa Francesco. Un’atmosfera di vera gioia permeava infatti piazza San Pietro, complice anche un clima insolitamente sereno dopo le piogge dei giorni scorsi.
I pellegrini riuniti nell’abbraccio del colonnato – tra cui i numerosi tangueros venuti per il flashmob dedicato alla milonga argentina, passione di Bergoglio - all'arrivo del Papa hanno augurato un “Buon Compleanno!” in diverse lingue. E un gruppo di seminaristi argentini, con i quali Francesco si è soffermato per pochi minuti, ha offerto addirittura una torta al Pontefice, il quale ha spento le candeline e sorseggiato del mate, tipica bevanda argentina.
Una bella accoglienza per il Santo Padre in questo giorno speciale. Lui, tuttavia, ha preferito mantenere un tono più misurato nella sua catechesi, affrontando un argomento “normale”. Ovvero la “normalità” della Famiglia di Nazareth, la quale, con la sua semplicità, – ha detto - “ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”.
E proprio su questo tema Francesco vuole che si concentri l’attenzione di tutto il Popolo di Dio in questo anno a venire, in cui la Chiesa si prepara ad un nuovo Sinodo dei Vescovi. “Ho deciso di riflettere con voi, in questo anno, proprio sulla famiglia – ha annunciato infatti il Pontefice - su questo grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio, quando conferì ad Adamo ed Eva la missione di moltiplicarsi e di riempire la terra. Quel dono che Gesù ha confermato e sigillato nel suo Vangelo”.
L’incarnazione del Figlio di Dio apre infatti “un nuovo inizio nella storia universale dell’uomo e della donna”, ha sottolineato Francesco. E ciò “accade in seno ad una famiglia”: “Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire … come un guerriero, un imperatore … No, no: viene come un figlio … in una famiglia. Questo è importante; guardare nel presepio questa scena tanto bella”.
Ed è bello anche sapere che Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, “che Lui stesso ha formato”. Formata, tra l’altro, “in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano”, non a Roma, la città capo dell’Impero, né in una grande città, “ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata”, di cui spesso si parlava male. Eppure proprio da lì “è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini!”.
Una storia durata trent’anni, durante i quali di fatto non accadde nulla, ha ricordato Papa Francesco: “Non si parla di miracoli o guarigioni, non ne ha fatta nessuna in quel tempo; non si parla di predicazioni, di folle che accorrono; a Nazaret tutto sembra accadere ‘normalmente’, secondo le consuetudini di una pia e operosa famiglia israelita”.
Gesù, in quella periferia, ci è rimasto per anni e anni, “sottomesso” – come dice l’evangelista Luca – ai suoi genitori: Maria, che - ha aggiunto a braccio il Santo Padre - “lavorava, cucinava, faceva le cose della casa, stirava le camice … tutte le cose da mamma”, e Giuseppe, il papà falegname, che “lavorava, insegnava al figlio a lavorare”.
Tutto nella normalità. Tanto che uno potrebbe obiettare: “Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata? Ha perso trent’anni… Che spreco Padre!”.
Ma è stato Dio stesso a volere questo, ha ribattuto il Pontefice: “Il cammino di Gesù era in quella famiglia”, e, si sa, “i cammini di Dio sono misteriosi”. La cosa più importante era proprio che il Figlio di Dio incarnato stesse in quella famiglia.
“E quello non era uno spreco, eh!”, ha rimarcato Bergoglio, “erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto…”. Loro sono l’esempio per tutti i genitori di oggi. Nonostante i Vangeli, “nella loro sobrietà”, non riferiscono nulla sull’adolescenza di Gesù, lasciando questo compito “alla nostra affettuosa meditazione” - ha osservato il Papa - di certo, “non ci è difficile immaginare quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel Figlio!”. E anche “quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere il bambino e la sposa – la sua famiglia – nei passaggi difficili!”.
Gli stessi ragazzi, poi, “potrebbero essere incoraggiati da Gesù adolescente a comprendere la necessità e la bellezza di coltivare la loro vocazione più profonda, e di sognare in grande!”. In quei trent’anni, Cristo “ha coltivato la sua vocazione per la quale il Padre lo ha inviato… Mai in quel tempo si è scoraggiato, ma è cresciuto con coraggio per andare avanti con la sua missione”. Sempre accolto e accudito dal suo padre terreno e da una madre che “custodiva tutto nel suo cuore”.
Allora sull’esempio di questa umile coppia di Nazaret, “ciascuna famiglia cristiana può accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo”. “Facciamo spazio nel nostro cuore e nelle nostre giornate al Signore”, ha esortato il Pontefice, anche se questo non sempre è facile. Persino per gli stessi Maria e Giuseppe non fu un percorso senza ostacoli: “Quante difficoltà dovettero superare! Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale”.
Per questo, si può dire che “la famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”. Come accadde in quei trent’anni a Nazaret, infatti, “così può accadere anche per noi”, ha assicurato Francesco; cioè “far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia”. Non a caso la parola “Nazaret” significa “Colei che custodisce”, perché “ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo”.
Quindi la grande missione della famiglia – ha concluso a braccio il Santo Padre – “è fare posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni…”. “Gesù è lì”, ha aggiunto, “accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente lì quella famiglia. Che il Signore ci dia questa grazia in questi ultimi giorni prima del Natale”.
CITTA' DEL VATICANO, 17 Dicembre 2014 (Zenit.org) - Erano circa 13mila i fedeli accorsi oggi per l’Udienza generale del mercoledì, l’ultima del 2014 che per una felice coincidenza si è svolta nel giorno del 78° compleanno di Papa Francesco. Un’atmosfera di vera gioia permeava infatti piazza San Pietro, complice anche un clima insolitamente sereno dopo le piogge dei giorni scorsi.
I pellegrini riuniti nell’abbraccio del colonnato – tra cui i numerosi tangueros venuti per il flashmob dedicato alla milonga argentina, passione di Bergoglio - all'arrivo del Papa hanno augurato un “Buon Compleanno!” in diverse lingue. E un gruppo di seminaristi argentini, con i quali Francesco si è soffermato per pochi minuti, ha offerto addirittura una torta al Pontefice, il quale ha spento le candeline e sorseggiato del mate, tipica bevanda argentina.
Una bella accoglienza per il Santo Padre in questo giorno speciale. Lui, tuttavia, ha preferito mantenere un tono più misurato nella sua catechesi, affrontando un argomento “normale”. Ovvero la “normalità” della Famiglia di Nazareth, la quale, con la sua semplicità, – ha detto - “ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”.
E proprio su questo tema Francesco vuole che si concentri l’attenzione di tutto il Popolo di Dio in questo anno a venire, in cui la Chiesa si prepara ad un nuovo Sinodo dei Vescovi. “Ho deciso di riflettere con voi, in questo anno, proprio sulla famiglia – ha annunciato infatti il Pontefice - su questo grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio, quando conferì ad Adamo ed Eva la missione di moltiplicarsi e di riempire la terra. Quel dono che Gesù ha confermato e sigillato nel suo Vangelo”.
L’incarnazione del Figlio di Dio apre infatti “un nuovo inizio nella storia universale dell’uomo e della donna”, ha sottolineato Francesco. E ciò “accade in seno ad una famiglia”: “Gesù nacque in una famiglia. Lui poteva venire … come un guerriero, un imperatore … No, no: viene come un figlio … in una famiglia. Questo è importante; guardare nel presepio questa scena tanto bella”.
Ed è bello anche sapere che Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, “che Lui stesso ha formato”. Formata, tra l’altro, “in uno sperduto villaggio della periferia dell’Impero Romano”, non a Roma, la città capo dell’Impero, né in una grande città, “ma in una periferia quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata”, di cui spesso si parlava male. Eppure proprio da lì “è iniziata la storia più santa e più buona, quella di Gesù tra gli uomini!”.
Una storia durata trent’anni, durante i quali di fatto non accadde nulla, ha ricordato Papa Francesco: “Non si parla di miracoli o guarigioni, non ne ha fatta nessuna in quel tempo; non si parla di predicazioni, di folle che accorrono; a Nazaret tutto sembra accadere ‘normalmente’, secondo le consuetudini di una pia e operosa famiglia israelita”.
Gesù, in quella periferia, ci è rimasto per anni e anni, “sottomesso” – come dice l’evangelista Luca – ai suoi genitori: Maria, che - ha aggiunto a braccio il Santo Padre - “lavorava, cucinava, faceva le cose della casa, stirava le camice … tutte le cose da mamma”, e Giuseppe, il papà falegname, che “lavorava, insegnava al figlio a lavorare”.
Tutto nella normalità. Tanto che uno potrebbe obiettare: “Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso trent’anni lì, in quella periferia malfamata? Ha perso trent’anni… Che spreco Padre!”.
Ma è stato Dio stesso a volere questo, ha ribattuto il Pontefice: “Il cammino di Gesù era in quella famiglia”, e, si sa, “i cammini di Dio sono misteriosi”. La cosa più importante era proprio che il Figlio di Dio incarnato stesse in quella famiglia.
“E quello non era uno spreco, eh!”, ha rimarcato Bergoglio, “erano grandi santi: Maria, la donna più santa, immacolata, e Giuseppe, l’uomo più giusto…”. Loro sono l’esempio per tutti i genitori di oggi. Nonostante i Vangeli, “nella loro sobrietà”, non riferiscono nulla sull’adolescenza di Gesù, lasciando questo compito “alla nostra affettuosa meditazione” - ha osservato il Papa - di certo, “non ci è difficile immaginare quanto le mamme potrebbero apprendere dalle premure di Maria per quel Figlio!”. E anche “quanto i papà potrebbero ricavare dall’esempio di Giuseppe, uomo giusto, che dedicò la sua vita a sostenere e a difendere il bambino e la sposa – la sua famiglia – nei passaggi difficili!”.
Gli stessi ragazzi, poi, “potrebbero essere incoraggiati da Gesù adolescente a comprendere la necessità e la bellezza di coltivare la loro vocazione più profonda, e di sognare in grande!”. In quei trent’anni, Cristo “ha coltivato la sua vocazione per la quale il Padre lo ha inviato… Mai in quel tempo si è scoraggiato, ma è cresciuto con coraggio per andare avanti con la sua missione”. Sempre accolto e accudito dal suo padre terreno e da una madre che “custodiva tutto nel suo cuore”.
Allora sull’esempio di questa umile coppia di Nazaret, “ciascuna famiglia cristiana può accogliere Gesù, ascoltarlo, parlare con Lui, custodirlo, proteggerlo, crescere con Lui; e così migliorare il mondo”. “Facciamo spazio nel nostro cuore e nelle nostre giornate al Signore”, ha esortato il Pontefice, anche se questo non sempre è facile. Persino per gli stessi Maria e Giuseppe non fu un percorso senza ostacoli: “Quante difficoltà dovettero superare! Non era una famiglia finta, non era una famiglia irreale”.
Per questo, si può dire che “la famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia”. Come accadde in quei trent’anni a Nazaret, infatti, “così può accadere anche per noi”, ha assicurato Francesco; cioè “far diventare normale l’amore e non l’odio, far diventare comune l’aiuto vicendevole, non l’indifferenza o l’inimicizia”. Non a caso la parola “Nazaret” significa “Colei che custodisce”, perché “ogni volta che c’è una famiglia che custodisce questo mistero, fosse anche alla periferia del mondo, il mistero del Figlio di Dio, il mistero di Gesù che viene a salvarci, è all’opera. E viene per salvare il mondo”.
Quindi la grande missione della famiglia – ha concluso a braccio il Santo Padre – “è fare posto a Gesù che viene, accogliere Gesù nella famiglia, nella persona dei figli, del marito, della moglie, dei nonni…”. “Gesù è lì”, ha aggiunto, “accoglierlo lì, perché cresca spiritualmente lì quella famiglia. Che il Signore ci dia questa grazia in questi ultimi giorni prima del Natale”.