EMERGENZA EDUCATIVA
RISPOSTA FNC
Il Card. Angelo Bagnasco nella lettera pastorale (2010-11) scrive: “sembra di essere tornati a una “Babele” dove pare che le parole abbiano assunto un significato diverso dalla loro origine, creando confusione, smarrimento”.
Riguardo a questa confusione con la conseguente emergenza educativa, emerge il problema di come FNC possa rispondere alla sfida lanciata dal Santo Padre e dai Vescovi che hanno scelto, come impegno pastorale per questo decennio, l’educazione.
La società di oggi è caratterizzata da un relativismo imperante e non di rado aggressivo: le certezze basilari, i valori e le speranze che danno un senso alla vita e sembrano venir meno. Esiste la forte tentazione degli educatori di rinunciare al loro compito, in quanto questo ruolo pare non aver più senso in questa società nichilista che sembra non aver bisogno di maestri. Così gli adolescenti e i giovani, pur circondati da molte attenzioni e tenuti forse troppo al riparo dalle prove e dalle difficoltà della vita, non riescono a dare risposte al loro vivere e, davanti alle attese e al loro futuro si sentono limitati e impreparati.
L’emergenza educativa sottolineata dai Vescovi italiani e dal Santo Padre non sembra riferita solamente ai giovani che rispondono maleducatamente, non ringraziano, non rispettano più gli anziani o i loro professori (maestri), ma ad un’altra e più profonda educazione, quella dell’educazione a Cristo che, se ricevuta, crea dei comportamenti educativi attenti al sociale.
Educare a Cristo non è cosa semplice: non basta studiare il Vangelo, leggere trattati tomistici o agostiniani. Per poter educare bisogna aver precedentemente sperimentato Cristo nella propria vita altrimenti tutto si riduce a un semplice inculcare nozioni prettamente intellettuali senza che la fede sia trasmessa come valore vissuto.
A questo proposito Papa Benedetto XVI, parlando ai Vescovi Filippini il 18 febbraio 2011 riguardo alla trasmissione dei valori afferma che: “per mantenere Dio al centro della vita dei fedeli, la vostra predicazione e quella del vostro clero devono essere mirate, affinché ogni cattolico comprenda nel profondo il fatto, capace di trasformare la vita, che Dio esiste, che ci ama e che in Cristo risponde alle domande più profonde della nostra vita. Il vostro grande compito nell’evangelizzazione è quindi di proporre un rapporto personale con Cristo come chiave per la completa realizzazione.”
Anche ai Vescovi durante la 58ma assemblea generale dice: ” Riproporre una educazione integrale, offerta da testimoni credibili.”
Chi sono questi testimoni credibili a cui fa riferimento il Santo Padre? Dove si trovano persone che rendono visibile questa educazione? Nel corso della storia, tra tutte le civiltà, il popolo Ebreo è quello che ha risposto meglio nei millenni alla sfida educativa. Il motivo è che come popolo ha sempre convissuto con questo problema: come educare e mantenere la sua fede durante la sua permanenza in terre straniere, durante le deportazioni, quando era schiavo in Mesopotamia (Nabucodonosor) o in Egitto, al tempo di Gesù sotto il dominio romano, nei campi di concentramento nazisti, tenendo presente che il popolo che li dominava ha sempre tentato di inculcare i suoi valori per intaccare le loro tradizioni. Alcuni racconti della Bibbia sono molto significativi al riguardo: uno per tutti il martirio di una famiglia numerosa Maccabea.
2Maccabei capitolo 7 ...La madre era soprattutto ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché vedendo morire sette figli in un sol giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di essi nella lingua paterna, piena di nobili sentimenti e, sostenendo la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il creatore del mondo, che ha plasmato alla origine l'uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi».
Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quella voce fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l'avrebbe fatto ricco e molto felice se avesse abbandonato gli usi paterni, e che l'avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato cariche.
Ma poiché il giovinetto non badava affatto a queste parole il re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo.
Dopo che il re la ebbe esortata a lungo, essa accettò di persuadere il figlio. Chinatasi verso di lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua paterna: «Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento.
Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l'origine del genere umano.
Non temere questo carnefice ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia».
Mentre essa finiva di parlare, il giovane disse: «Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè.
Ma tu, che ti fai autore di tutte le sventure degli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio.
Per i nostri peccati noi soffriamo.
Se per nostro castigo e correzione il Signore vivente si adira per breve tempo con noi, presto si volgerà di nuovo verso i suoi servi.
Ma tu, o sacrilego e di tutti gli uomini il più empio, non esaltarti invano, agitando segrete speranze, mentre alzi la mano contro i figli del Cielo; perché non sei ancora al sicuro dal giudizio dell'onnipotente Dio che tutto vede.
Già ora i nostri fratelli, che hanno sopportato breve tormento, hanno conseguito da Dio l'eredità della vita eterna. Tu invece subirai per giudizio di Dio il giusto castigo della tua superbia.
Anche io, come già i miei fratelli, sacrifico il corpo e la vita per le patrie leggi, supplicando Dio che presto si mostri placato al suo popolo e che tu fra dure prove e flagelli debba confessare che egli solo è Dio; con me invece e con i miei fratelli possa arrestarsi l'ira dell'Onnipotente, giustamente attirata su tutta la nostra stirpe».
Il re, divenuto furibondo, si sfogò su costui più crudelmente che sugli altri, sentendosi invelenito dallo scherno.
Così anche costui passò all'altra vita puro, confidando pienamente nel Signore.
Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte.
La testimonianza della madre è cruenta ma credibile! Perché credibile? Perché oltre aver insegnato per tutta la vita ai propri figli a mantenere saldi i valori non negoziabili di quel tempo, durante la prova, non ha ceduto neppure davanti al sangue dei propri figli o alle lusinghe di Antioco che prometteva agevolazioni per indurla a “svendere” i loro valori. Questa famiglia non ha venduto la propria fede per un “piatto di lenticchie” ma, incitata a non cedere dalla madre, arriva a dare la sua stessa vita.
Come diventa importante e formante l’educazione fatta in famiglia. Tanto importante che per gli ebrei la trasmissione della fede ai figli è basilare.
Molti momenti della Pasqua ebraica sono occasioni favorevoli per trasmettere la fede ai figli. Nei giorni precedenti alla Pasqua, i figli più piccoli, come se fosse un gioco, cercano il pane lievitato nella loro casa per eliminarlo, altrimenti non potranno celebrare la Pasqua.
La notte di Pasqua i figli avranno un ruolo centrale e il padre li interrogherà, coinvolgendoli.
Quella notte vedranno tanti segni: la porta socchiusa, un posto apparecchiato in più (segno di attesa del Messia ma anche di accoglienza), mangeranno gli azzimi cioè il pane della fretta perché non ha avuto il tempo di lievitare, le salse amare di colore rosso, segno dei mattoni che i loro padri schiavi in Egitto erano costretti a fare, le cipolle. Tutta la notte verrà passata con i fianchi cinti e il bastone in mano pronti per essere liberati dalla schiavitù.
Immaginiamo per un attimo come nei lager la Pasqua (passaggio) avesse una forza dirompente per chi stava vivendo in quella situazione di oppressione, la figura del faraone era ben presente ed era forte il desiderio di essere liberati. Si capisce allora che le parole previste nel rituale - “Per quello che fece il Signore a me quando uscii dell’Egitto” - prendevano una forma visibile, come se gli ebrei fossero ancora schiavi in Egitto; erano tanto sicuri che Dio li avrebbe liberati da questo nuovo Egitto che ripetevano: “Oggi schiavi, domani liberi a Gerusalemme”.
Nel Seder Ebraico è scritto testuale: “Ordina pure di narrare ai figli gli avvenimenti che quella data vuol ricordare” (vehiggadtà le-binchà: racconterai a tuo figlio) e appunto dal verbo hagghèd (raccontare) ha preso il nome “haggadah”. Non veniva meno per i genitori il dovere di intrattenere i giovani figli sui fatti relativi all’esodo dall’Egitto. La Torah stessa (quando ha sancito l’obbligo per il padre, non per i sacerdoti che avevano un ruolo ritual-sacrificale, di istruire i figli su ciò che riguarda la liberazione dalla schiavitù egiziana) ha avuto presenti quattro figli con diversi temperamenti: l’assennato, lo spregiudicato, il semplice e l’inesperto nel formulare le domande.
• C’è il bambino assennato che si esprime dicendo “quali sono i precetti, gli statuti e le leggi che Dio vi ha comandato?” Allora il padre gli insegnerà i riti relativi alla Pasqua.
• C’è il bambino spregiudicato che domanda: “Che cos’è per voi questa cerimonia? (per voi non per lui) Escludendosi nega le basi dell’ebraismo e il padre a questo punto testimonia la sua fede “Per quello che fece il Signore a me quando uscii dell’Egitto” e ammonendolo che se si fosse trovato là anche lui, Dio non lo avrebbe liberato.
• C’è il bambino semplice che chiede “Perché questo ?” e il padre risponderà “Perché con la forza del Suo braccio il Signore ci fece uscire dall’Egitto, dalla casa degli schiavi”.
• Il bambino inesperto è colui che non sa domandare. Il padre incomincia a raccontare tutta la storia che Dio ha operato con lui partendo da Abramo, Giacobbe, Giuseppe, l’Egitto, Mosè, le piaghe, la liberazione con prodigi e intona un canto (Dajenu’) che fa presente tutti i prodigi che Dio ha operato per liberarli.
Per gli Ebrei è fondamentale trasmettere la fede ai propri figli, non solo nella pasqua ma ogni giorno, anche con rituali giornalieri. Un esempio è lo Shemà (ascolta), preghiera importante tratta dal Deuteronomio, che viene recitata varie volte ogni giorno ed è appesa alla porta di casa in modo che prima di uscire si possa ricordare di recitarla. Questa preghiera ha nel suo interno un passo molto importante per la trasmissione della fede ai propri figli:
Deuteronomio 6:4 Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.
Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore;
li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.
Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi
e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.
In questa famiglia i figli vedono i propri genitori pregare il Signore tutti i giorni; potrebbe sembrare a prima vista una serie di riti inutili di poco conto, ma questi “riti” testimoniano una fede vissuta, cioè credibile.
Se questa famiglia, quando sorgeranno difficoltà, crisi, incomprensioni, dubbi, saprà mantenere la propria tradizione (fede) potrà essere un’ancora, un faro e una sicurezza per i suoi componenti.
Questo è il “segreto” del perché esiste ancora questo popolo, altrimenti risulta difficile capire perché, dopo millenni, continui ad esistere, anche se in un mondo secolarizzato-desacralizzato come il nostro faticano anche loro a trasmettere fede e valori.
Nella storia del cristianesimo i primi cristiani hanno testimoniato con la loro vita il loro credo (valori). Ancora oggi i primi martiri danno un senso alla nostra vita in quanto la persecuzione ha permesso loro di testimoniare in modo credibile la loro fede.
Nessuno cerca la persecuzione per essere credibile; al tempo delle persecuzioni i cristiani che si autodenunciavano non venivano ritenuti credibili, tanto da essere considerati giustamente dei fanatici.
Altri cristiani quando venivano arrestati non abiuravano (bastava gettare un po’ di incenso in un braciere per non essere uccisi), non abbandonavano il loro credo e grazie al loro sangue versato per i nemici diventavano testimoni. E’ questa la persecuzione che rende valida la loro testimonianza.
Pertanto si può confermare la “Felix culpa” recitata nel Preconio Pasquale: “felice colpa” per quelle persecuzioni che hanno portato a versare quel sangue innocente, generando nuovi cristiani, non per aumentare il numero dei cristiani ma per far crescere il numero di persone liberate dalle loro schiavitù, che hanno trovato il senso della loro vita, persone che ora sanno amare.
Certamente non serve il martirio per essere testimoni, ma se la testimonianza è appoggiata ad un modo di vivere credibile, sincero, altruista, aperto alla vita, all’accoglienza, allora rende visibile Cristo e la Sua Chiesa.
La “scelta” di avere una famiglia numerosa (donata da Dio) può diventare una forma educativa credibile sia per i componenti che la compongono, ma anche per chi con essa viene a contatto. Sicuramente l’incontro con una famiglia numerosa pone molti interrogativi e suscita scandalo in quanto realtà non conosciuta e difficilmente comprensibile per gli occhi secolarizzati di molte persone. Certamente interroga profondamente la gente che la incontra: chi ha dato loro di accogliere la vita nonostante abbiano già tanti figli, un solo reddito e una casa così piccola?
Vorrei brevemente accennaree come mai oggi la nostra società ha perso, in modo così radicale, quei valori che sono riusciti a mantenere la famiglia un valore fondamentale di tutte le società divenendo un capitale sociale riconosciuto anche da chi non professa nessuna fede.
Nel 1968 la contestazione degli studenti è caratterizzata dai figli che contestano tutto: i genitori, la scuola ed in particolare i giovani contestano la Chiesa che non ammette l’uso degli anticoncezionali. Questo scontro tra generazioni diventa molto profondo e netto: i figli rifiutano i valori dei padri come valori non più validi.
In pratica i genitori non sanno più educare i figli ai valori a cui loro stessi erano stati precedentemente educati; probabilmente non ci credevano neppure loro e dunque non erano più credibili, perché quello che volevano insegnare non era più vissuto.
Ne consegue che nel 1970 in Italia, una nazione definita ancora “cattolica” , viene approvato il divorzio.
Questo evento dà il primo colpo mortale alla famiglia, in particolare ai figli (vittime innocenti) e, a livello sociale, inizia una tensione fortissima tra i generi. L’amore per sempre non esiste più per legge, ma diviene una convivenza che ha come fondamento questa mentalità: “se tutto va bene ok, ma attento, se non stiamo (sto) più bene insieme, tu vai per la tua strada io per la mia e per essere “giusti”, se abbiamo dei figli, facciamo come Salomone li dividiamo in due parti, un po’ da te e un po’ da me”.
Figurarsi come viene ridotta l’immagine originale della famiglia che diventa una convivenza prettamente umana e quindi liquida. Tutto diventa instabile perché dipende solamente dalla convenienza-piacere del singolo. Si può immaginare quello che potranno pensare dell’istituzione familiare i figli che subiscono il divorzio dei genitori. Forse ora iniziamo a capire perché i figli che hanno subìto-visto quelle situazioni fanno fatica a sposarsi: non perché mancano i soldi o la casa (sono sempre mancati ma ci si sposava ugualmente). Ciò che a loro manca è il vedere il senso della loro vita e del matrimonio in una società che non lo riconosce.
Pochi anni dopo è pronto il referendum sull’aborto, epilogo naturale dello sfascio della famiglia.
Quanto falsa carità si “respirava” in quel periodo: basti ricordare alcune interviste TV in cui molti amici cattolici dichiaravano: “io non lo farò mai, ma se una lo vuol fare deve essere libera di farlo”. Quanti cattolici si sono lavati le mani come Pilato permettendo di portare alla morte degli innocenti. Per chiarire a quale carità siamo chiamati, il Santo Padre recentemente ha scritto l’enciclica “CARITAS IN VERITATE ” chiarendo che la carità deve essere nella verità e non nella menzogna.
Anche in questa occasione gli adulti votanti, non sono stati capaci di difendere una realtà così evidente: il concepito è una vita. Pensare diversamente offende l’intelligenza anche dei bambini.
La questione economica è un altro punto dolente che ha contribuito a indebolire la famiglia.
I genitori sono costretti, se non vogliono soccombere o vivere nella precarietà, a lavorare entrambi. In molti casi si spaccia la cosa come emancipazione della donna, ma la realtà è che la maggior parte delle donne starebbe volentieri a casa a crescere i propri figli. Persino il trattato di Lisbona del 2000 si pone come obiettivo di portare l’occupazione femminile al 70% e questa situazione contribuirà non poco a minare ancora la famiglia e la società, appesantendo la spesa pubblica per ricoveri, asili, e altro ancora.
Nel 2007 è arrivato l’attacco alla famiglia, forse più sottile ma non meno devastante, fatto dalla sedicente cattolica Rosaria Bindi, con i DICO, voluti per equiparare le coppie di fatto a quelle sposate.
Con la scusa del politicamente corretto si vuole equiparare quello che neanche molte le coppie di fatto desiderano, in quanto vogliono rimanere libere da ogni legame.
L’attacco è tanto subdolo che in questa trappola cadono alcune associazioni familiari, non esprimendosi in modo chiaro e netto contro questa proposta, ma grazie al Family Day e alla CEI l’attacco viene respinto.
Si potrebbe proseguire ricordando il caso Englaro, la pillola abortiva RU 486, il divorzio express, la questione omosessuale; si potrebbe dire ancora molto per capire il motivo per cui oggi ci troviamo in questa emergenza, ma già si può intuire che la colpa non sta dalla parte dei nostri figli o della società. Il vero problema è che la nostra generazione e quelle precedenti non sono state maestre nei confronti di quelle successive.
Il Papa ha sentito il bisogno di istituire il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione con Mons. Fisichella proprio per aiutare questa generazione a trovare il senso della vita.
Occorre una formazione seria e nuova dei genitori perché i figli ci guardano e imparano da noi.
La tradizione cristiana, mediante la testimonianza dei genitori, diventa una risposta adeguata al bisogno del cuore dei figli: questa è l’educazione.
Catechismo della Chiesa Cattolica 1653 La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l'educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Gravissimum educationis, 3].
L’educazione è la tradizione che diventa presenza dentro la testimonianza che i genitori ne fanno ai figli. Queste tre categorie, tradizione-presenza-testimonianza, costituiscono l’atto educativo. (Card. Caffarra 2008).
E’ necessario oggi più che in passato che la famiglia ritorni al suo compito primario: educare la propria prole al senso della vita invece di riempirla di cose che servono a ben poco se non a far diventare i figli chiusi alla condivisione e alla fratellanza, aprendo le porte all’egoismo.
Catechismo della Chiesa Cattolica 2226 L' educazione alla fede da parte dei genitori deve incominciare fin dalla più tenera età dei figli. Essa si realizza già allorché i membri della famiglia si aiutano a crescere nella fede attraverso la testimonianza di una vita cristiana vissuta in conformità al Vangelo. La catechesi familiare precede, accompagna e arricchisce le altre forme d'insegnamento della fede. I genitori hanno la missione di insegnare ai figli a pregare e a scoprire la loro vocazione di figli di Dio [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11].
Amare veramente i nostri figli, anche se a molti può sembrare strano, è educarli a Colui che ha dato la sua vita per loro, il vero Testimone: “All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio”. Apocalisse 3:14
La risposta alla vera emergenza educativa è Colui che può dare alle famiglie e ai nostri figli il vero senso della vita, che può trasformare la nostra vita.
L’associazione FNC con le sue numerose famiglie cattoliche spera e crede di poter dare un contributo concreto per rispondere a questa emergenza con la propria testimonianza vissuta.
“Per quello che fece il Signore a me quando uscii dall’Egitto” Dio ci sta chiamando in modo particolare a non gettare incenso nel braciere di questo mondo ma a testimoniare a tutti con la nostra vita che è possibile avere una vita piena che valga la pena di essere vissuta se nel suo interno è presente Cristo in modo da diventare “Ecclesia domestica” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 11; cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 21].
Gianni e Cristina
Presidenti FNC