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22 August, 2010

Il cesareo non è la via della vita
di - Padre Angelo del Favero

ROMA, venerdì, 20 agosto 2010 (ZENIT.org).-“Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino per Gerusalemme. Un tale gli chiese: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Disse loro: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e sederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13,22-30)
“Fratelli...è per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12,7.11).
Nel Vangelo di oggi, il volto misericordioso del Padre che Luca si compiace spesso di mostrare nelle opere e nelle parole di Gesù, sembra assumere un aspetto severo: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!” (Lc 13,27). Ma noi sappiamo, anche dagli altri evangelisti, che Gesù ha sempre accolto gli “operatori di ingiustizia”, come Zaccheo capo dei pubblicani (Lc 19,1-10); Matteo esattore delle tasse (Mt 9,9-13); e l’adultera (Gv 8,1-11). Ognuno di noi, poi, si trova nel numero di quegli “ingiusti” che confidano nella continua misericordia di Colui che non è venuto per giudicare, ma per salvare i peccatori.
Qual è dunque il senso del duro discorso fatto oggi da Gesù, e a quali “operatori di ingiustizia” si riferisce? Inoltre: chi rappresenta questo “tale”, suo interlocutore?
Per rispondere, anzitutto vediamo che cosa può aver mosso quest’ultimo a chiedere: “Signore, sono pochi coloro che si salvano?” (Lc 13,23).
Sono possibili due opposti moventi. Il primo, forse più comune, è paragonabile all’interesse di uno studente negligente che cerca di informarsi: “sono pochi quelli che passano l’esame?”. Egli sa di essere impreparato, ma spera nella bontà del professore, o nella fortuna. Il secondo caso è quello di uno studente che ha studiato, ma essendo di temperamento ansioso, teme quella severità del professore di fronte alla quale facilmente si arresterebbe.
Gesù sapeva sempre quello che c’era nel cuore di coloro che lo interrogavano (Gv 2,24-25), e verosimilmente vede oggi che il suo interlocutore non è in buona fede, che vuole calcolare il costo della salvezza anziché accoglierne umilmente il dono.
Questo tale è il rappresentante di tutti coloro che “giocano al risparmio”, e non comprendono che la salvezza non consiste nel non essere eliminati nelle qualificazioni, ma è puro dono da accogliere seguendo l’unico vincitore, Gesù: “Una cosa sola ti manca: - dice Gesù al giovane ricco - va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc 10,21).
Sappiamo che nel commentare il rifiuto di costui, Gesù prospetta a chi vuole seguirlo una porta tanto stretta da sembrare assurda: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno di Dio” (10,25), e tuttavia ne apre contemporaneamente un’altra che impedisce a chiunque di sentirsi escluso: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (10,27).
Il senso, allora, della risposta del Signore al “tale” di oggi, può essere questo: quelli che si salvano sono coloro che hanno capito che diventare come bambini (via obbligata per entrare nel regno di Dio) è una porta tanto stretta per l’orgoglio della nostra natura da risultare invalicabile; eppure essa è nello stesso tempo tanto conforme alla nostra condizione di figli di Dio, da essere imprescindibile per avere accesso al suo e nostro regno. Come fare allora?
Ecco. Se il piccolissimo bambino appena concepito si rendesse conto che nove mesi dopo, divenuto un bambino enormemente più grande, dovrà uscire alla luce attraverso quel grembo strettissimo in cui arriverà tra una settimana, vedendosi nella situazione impossibile del cammello e dell’ago non potrebbe pensare ad alcuna possibilità di uscita alla luce diversa dal taglio cesareo. Egli non sa che Dio andrà modificando il grembo materno in modo da consentirgli quel passaggio impossibile che non può intravedere ora, non senza il gran travaglio che sperimenterà a suo tempo assieme a sua madre.
Così Dio si comporta con ognuno di noi quando permette che ci veniamo a trovare nel buio di una prova apparentemente superiore alle nostre forze. Egli risolverà ogni cosa a suo tempo; ha solo bisogno della nostra totale fiducia ed abbandono al suo amore di Padre, fondato unicamente sulla sua Parola.
L’autore della Lettera agli Ebrei oggi ci avverte: “è per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli” (Eb 12,7). Di quale correzione si tratta? Della purificazione da tutto ciò che impedisce al nostro cuore di avere e mantenere l’atteggiamento di abbandono e di fiducia totale dei bambini: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.(…) Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,25-30).
Dio vuole ricolmarci della sua grazia e della sua gioia facendoci partecipi del suo regno d’amore fin dal grembo oscuro di questa vita terrena. Glielo impedisce quel peccato originale di orgoglio e disobbedienza che ereditiamo dalla natura umana fin dal concepimento. Per questo la sua Misericordia “corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio” (Eb 12,6). Infatti, se c’è una cosa che mortifica l’umana superbia è la sofferenza, la quale ci umilia nel corpo, nella mente, nel cuore e nello spirito, costringendoci a dipendere dagli altri e ad accettare con fede le misteriose vie di Dio. Certo, “sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati” (Eb 12,11).

13 July, 2010

Bagnasco:
di - IL TEMPO.it


Il presidente della Cei chiede "una nuova generazione di politici cattolici", perchè è "sotto gli occhi di tutti" che l'attenzione al bene comune diminuisce e crescono gli interessi personali.

L'appello di Benedetto XVI perchè nasca in Italia una "nuova generazione di politici cattolici" trova pieno consenso da parte dei vescovi italiani. Lo afferma il presidente della Cei Angelo Bagnasco che in un'intervista all'Osservatore Romano traccia un identikit di tale nuova leva: "cattolici che sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni". "Penso - aggiunge il cardinale di Genova - che attorno a questo tema nevralgico della nostra società, che chiama in causa la testimonianza della Chiesa, occorra il concorso attivo di tutti". "Come vescovi italiani ci impegneremo - assicura Bagnasco - a una specifica riflessione in merito".



PROBLEMA DI COERENZA PERSONALE - Sui temi etici, sui quali in quasi tutti i partiti italiani si registrano al momento posizioni eterogenee, per Bagnasco "più che un problema di rappresentanza politica esiste un problema di coerenza personale. Credo - sottolinea - che sempre piu' siano necessari fedeli laici capaci di imparare a vivere il mistero di Dio, esercitandosi ai beni fondamentali della libertà, della verita', della coscienza". Per Bagnasco, dunque, "cresce l'urgenza di uomini e donne capaci, con l'aiuto dello Spirito, di incarnare questi ideali e di tradurli nella storia non cercando la via meno costosa della convenienza di parte comunque argomentata, ma la via più vera". E ciò proprio mentre avanza in diversi ambiti del Paese "una malintesa e pervicace forma di laicità, che sarebbe meglio definire laicismo; questa ignora il fatto religioso, anzi esplicitamente lo esclude", come accaduto con la sentenza europea sul Crocifisso, che Bagnasco auspica sia rettificata "con un pizzico di buon senso" ammettendo che proprio dal Crocifisso è germogliata la civiltà europea con tutti i suoi valori.


LAICITA' PERICOLOSA - La laicità intesa come negazione del messaggio religioso nel dibattito pubblico, rappresenta , spiega, "una grave amputazione del senso dello Stato, che ovviamente non ha competenze in campo religioso nè persegue finalità religiose, ma deve riconoscere, rispettare e anzi promuovere la dimensione religiosa. Dietro la liberta' religiosa. - osserva Bagnasco - si cela la più decisiva esperienza della libertà umana, senza la quale è a rischio non solo la fede, ma ancor prima la democrazia". "Dietro la cosiddetta neutralita' dello Stato è presente - conclude - un pregiudizio, tardo a morire, verso il quale giustamente Benedetto XVI da tempo va concentrando la sua riflessione: quello cioe' di confinare Dio al di fuori dello spazio pubblico, riducendolo a una questione privata".


18 June, 2010

Il matrimonio? Volere il bene dell’altro
di - Di Piero Gheddo


ROMA, martedì, 15 giugno 2010 (ZENIT.org).- Alcuni giorni fa ho fatto un bel viaggio in auto dal Pime di Roma al Pime di Milano in sei ore giuste (circa 600 km.), con Giovanni Radaelli, un amico di Cinisello Balsamo (Milano) che mi ha liberato dalla guida, permettendomi di godere il meraviglioso panorama che l’Italia centrale offre in primavera.
Da 16 anni ero, più o meno, un mese a Roma e uno a Milano, viaggiando quasi sempre in auto da solo. Questa volta sono venuti due amici del Pime a prendermi con un furgoncino (guidato da Giovanni Cantoni) che ha portato tutto il mio materiale al Pime di Milano (soprattutto libri). Se Dio vuole, mi stabilizzo a Milano, dov’era la mia residenza prima dei 16 anni a Roma per l’Ufficio storico del Pime, che in questo tempo ha prodotto, con l’aiuto di collaboratori, 32 libri e otto Quaderni dall’Archivio generale del Pime a Roma.
Interessante la chiacchierata con l’amico che mi ha accompagnano. Un normale italiano di 65 anni da poco in pensione, sposato con tre figli, che fa molto volontariato per la parrocchia e il Pime. Interessante perché noi preti abbiamo poco tempo per entrare in contatto prolungato con le famiglie e quando ne ho l’occasione mi piace sentire raccontare come vivono le famiglie normali. L’amico si dichiara cattolico, abbiamo anche detto il Rosario per strada.
Gli chiedo da quanti anni è sposato. “Mi sono sposato a 25 anni e sono sposato da quarant’anni. Quando mi capita di dire questo ad un giovane, spesso mi chiede: con una donna sola? Alla mia risposta positiva si meraviglia e mi chiede come è possibile un matrimonio così lungo. Gli spiego che se ti sposi davvero per amore e ti doni totalmente a tua moglie, come la moglie si dona al marito, si crea un legame fortissimo che ti permette di continuare a volerle bene. Il matrimonio è un’avventura meravigliosa se c’è amore vero, cioè donazione totale, mentre fallisce se c’è egoismo. Il principio base è quello di voler rendere felice la persona che hai sposato, condividendo tutto con lei: se è felice lei, sono felice anch’io. Per esempio, noi i soldi che avevamo e che abbiamo guadagnato li abbiamo sempre messi assieme, non c’è mai stata fra noi nemmeno l’ipotesi di poterci separare o divorziare”.
Chiedo all’amico se ci sono contrasti e difficoltà e come li risolvono. “Certo, dice, si possono avere idee diverse su alcune soluzioni da prendere. Le difficoltà non mancano. Importante essere sinceri e discuterne assieme per scegliere la soluzione migliore. Qualche volta bisogna anche cedere e rinunziare alla propria idea per andare d’accordo. Ma se c’è amore e umiltà non costa nemmeno fatica. Debbo anche aggiungere che mi sono sposato con mia moglie dopo sei anni di fidanzamento e il nostro aiuto per un buon matrimonio è stata la preghiera e l’intesa sulla pratica della fede. Sia io che mia moglie eravamo religiosi e anche da sposati abbiamo continuato ad andare in chiesa e all’oratorio, ad essere utili alla parrocchia. E adesso a fare del volontariato. Dio ci ha aiutati molto. La fede e la preghiera sono il sostegno più forte per una vita serena e felice, nonostante le sofferenze e le difficoltà”.
Siete contenti dei vostri figli? “Contentissimi. Due sono sposati e uno ancora in casa e lavorano, hanno sempre lavorato anche quand’erano giovani, non hanno mai aspettato di avere un lavoro di loro gradimento. Poi, oltre all’oratorio, a scuola hanno incontrato il movimento di Comunione e Liberazione, che ha dato molto alla loro educazione: le amicizie, il sacerdote che li guida, le occasioni anche di fare pellegrinaggi, ritiri spirituali, discussioni sui temi di attualità visti alla luce della fede. Noi genitori apprezziamo molto la loro appartenenza al movimento. Adesso abbiamo cinque nipoti e altri ne arriveranno”.
Chiedo all’amico se la sua famiglia sente la crisi economica che sta devastando l’Europa e anche l’Italia. Risponde: “La sentiamo nell’atmosfera di lamento e di pessimismo che c’è in giro e naturalmente anche nel dover risparmiare. Ma il necessario, grazie a Dio, non ci è mai mancato. Debbo dire che quando penso alla vita mia e di mia moglie, ci sentiamo fortunati. Non eravamo ricchi e non lo siamo, ma abbiamo potuto avere la casa nostra, l’automobile e tante altre comodità che quarant’anni fa nemmeno si sognavano. Capisco le difficoltà delle famiglie nelle quali c’è vera disoccupazione, ma non capisco il pessimismo e il lamento generale che si sente. Penso che non apprezziamo abbastanza la fortuna di essere nati e vissuti in Italia e la fortuna di avere ereditato la fede, che costa fatica praticare, ma ti dà una marcia in più in ogni circostanza della vita”.



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